"Mediocre
Cesare ed Augusto: i caratteri e lo stile
Quando si comincia a parlare d’Augusto non è possibile farlo se non contrapponendolo a Cesare. Troppo diversi i due in tutto, nel fisico, nel carattere, nell’educazione, nello sviluppo della vita. E' ben difficile trovare un elemento a comune denominatore se non il posto d'onore che essi conservano nella storia romana.
Non è mai accaduto che due uomini usciti dallo
stesso ceppo familiare si siano succeduti nel dare opera, con criteri tanto
diversi, alla più grande creazione storica che il mondo abbia veduto.
Alla genialità vasta e possente di Cesare, dà
continuità la sagacia, la costanza, la duttilità e l'equilibrio d’Augusto.
Entrambi accomunati, però, nello scopo finale, la salvezza e la perpetuità
della missione di Roma.
In questa opera li sorregge una straordinaria
tensione morale, un fondo di misticismo, comune in tutti i grandi spiriti.
Entrambi avevano visto le insufficienze ed i mali dello Stato; la loro diagnosi
coincideva perfettamente. Profondamente diversa era la cura.
Cesare operò sempre da solo, come un navigatore
solitario. Augusto credeva nel gioco di
squadra, di cui sapeva essere il regista. Cesare non seppe individuare
luogotenenti di cui sia rimasta traccia positiva. Augusto, invece, seppe
scegliersi collaboratori coi fiocchi di cui guadagnò la devozione completa fino
alla fine.
Cesare fu capo di Roma per soli pochi mesi e morì
in maniera tragica. Augusto lo fu per 57 anni e morì di una serena vecchiaia
fra le braccia della moglie.
Dopo l'uccisione di Cesare, il 15 marzo del ’44 a. C., la lotta politica sembrava limitata al partito cesariano capeggiato da Antonio ed a quello dei congiurati.
Arbitro della contesa avrebbe dovuto essere il Senato. L'alternativa era una sola: sconfessare Cesare od i congiurati. Fu trovata una "brillante" soluzione di compromesso: Cesare non era un tiranno e non aveva aspirato al regno, ma per i congiurati fu riscoperta la parola amnistia giacché fu considerato che avessero agito nell'interesse dello Stato. La situazione sembrava normalizzata.
All’apertura del testamento di Cesare, ancora una
volta, quel grande Condottiero realizzava la sorpresa. Quale erede, era
indicato Caio Ottavio. Chi era costui?
Era nato a Velletri nel 63 a. C. aveva, quindi,
poco più di 18 anni. Nella lotta fra congiurati ed Antonio sembrava destinato a
fare la rapida fine del vaso di coccio fra quelli d'acciaio. Era pronipote di
Cesare, poiché nipote della sorella Giulia. Lo zio lo aveva preso a ben volere
e lo aveva voluto con sé in occasione dell'ultima spedizione in Spagna contro i
pompeani.
Lo aveva mandato in Epiro a fare esperienza militare in vista della guerra contro i Parti. Era ad Apollonia quando gli giunse la notizia dell'assassinio dello zio. Gli amici lo esortavano ad assumere il comando delle Legioni dell'Epiro ed a marciare contro Roma. I familiari lo scongiuravano di rimanere dov'era e di non abbracciare la politica. Non accettò i consigli della temerarietà e della pusillanimità, scelse una linea d'azione di fermezza. Venne in Italia, da solo, senza minacciare nessuno, ma determinato a far valere i suoi diritti.
Giunse a Roma all’inizio di maggio del 44, si
incontrò con Antonio chiedendo che fossero convocati i Comizi Curiati che
dovevano dare esecuzione alle ultime volontà testamentarie di Cesare e pretese
di avere i fondi trovati nella sua casa.
La contesa politica fra cesariani e congiurati
diventava sempre più aspra. Ottaviano si rese conto di due cose. La prima era
l'inevitabilità di un contrasto con Antonio; la seconda, la sua posizione era,
al momento, molto più debole. Non gli
rimaneva che cercare il consenso del popolo. Lo fece con una manovra audace e
demagogica.
Antonio si ostinava a rifiutare la consegna del
denaro di Cesare? Vendendo propri terreni e facendo cospicui prestiti,
Ottaviano si procurò la somma sufficiente a dare esecuzione alla volontà
paterna di dare 300 sesterzi ad ogni romano. L'elargizione riscosse l'ampio
consenso del popolo aumentando enormemente la fama di Ottaviano. Antonio si
rese conto che non poteva più sottovalutare quel ragazzo che, sotto l'aspetto
diafano e malaticcio, mostrava d’avere la stessa spina dorsale di Cesare.
Per rafforzare la sua posizione. Ottaviano
comprese che vi era un solo mezzo: avere un proprio esercito. Con un altro gesto di suprema audacia, al di
fuori ed al di sopra d’ogni legge, con l'aiuto dei veterani del padre adottivo,
riuscì ad arruolare alcune migliaia di uomini ed a costituirsi un proprio
esercito. Fu un atto rivoluzionario che diede avvio alla sua potenza.
Lo scontro politico fra cesariani e congiurati si
era ormai trasformato in una lotta armata ed il Senato fu costretto a sanare
l’irregolare posizione di Ottaviano conferendogli la facoltà propretoria.
Antonio intanto marciava contro Decimo Bruto che
si era organizzato a difesa a Modena.
Fu tentata una mediazione da parte del Senato, ma Antonio rifiutò. Il
Senato decretò allora lo stato di tumulto e conferì ai due nuovi Consoli ed
allo stesso Ottaviano l'incarico di ristabilire l'ordine.
Lo scontro avvenne a Modena. Antonio fu sconfitto e dovette ritirarsi con le sue truppe verso la Gallia Narbonese, inseguito da Decimo Bruto (Aprile 43).
I due Consoli morirono negli scontri. La
collaborazione di Ottaviano con gli avversari di Cesare era stata solo d’ordine
tattico nell'intento di ridimensionare la potenza di Antonio. Ora era lui in
una posizione di grande forza. Si rifiutò di partecipare all'inseguimento d’Antonio
ed operò un ulteriore ardimento: i Consoli erano morti, poteva pretendere la
carica di Console!
Pochi giorni dopo era a Roma con le sue Legioni a
dar peso alla richiesta. Un Senato disorientato ed impaurito dovette eleggerlo
Console. Era il 10 agosto del 43. Erano passati 17 mesi dalle Idi di Marzo ed
Ottaviano non aveva ancora 20 anni! Il pulcino aveva spiccato il volo!
A Roma Ottaviano, padrone della situazione fece
approvare la legge che dichiarava crimine sacrilego l'uccisione di Cesare e
decretava la più grave pena per i suoi autori. Era così compiuto quell'atto
supremo che lo stesso Antonio non aveva avuto il coraggio di compiere. Era
aperta una nuova guerra civile.
Ed era necessaria anche una riconciliazione con
Antonio per ricompattare tutto il partito cesariano e completare la lotta
contro i congiurati.
Si incontrò con Antonio e Marco Lepido presso
Bologna e stipularono un accordo, noto come secondo Triumvirato. Al fine di
riordinare lo Stato, i Triumviri avrebbero avuto poteri straordinari, liberi da
qualunque ingerenza del Senato. Si era nel novembre del 43 ed un Senato ormai
alla deriva sancì il predetto accordo.
Completata l'eliminazione degli avversari politici
inseriti nelle liste di proscrizione, non rimaneva che lo scontro con Cassio e
Bruto in Oriente.
Lo scontro avvenne a Filippi. Bruto si trovò di fronte le truppe
d’Ottaviano e riuscì vincitore. Cassio invece subì una grave sconfitta da
Antonio e si uccise. Alcuni giorni dopo vi fu un secondo scontro completamente
sfavorevole a Bruto che, abbandonato anche dalle truppe superstiti, si uccise.
Il merito principale della vittoria andava ad Antonio. Siamo alla fine d’ottobre del 42 a.C..
Dopo due anni e mezzo, la morte di Cesare era
completamente vendicata.
Vi fu ora una nuova ripartizione dei compiti fra i
Triumviri. Ad Antonio andò l'Oriente ove maggiori erano le esigenze militari.
Ottaviano ritornava a Roma, ove erano prevalenti le esigenze politiche. A
Lepido fu concessa l'Africa.
Dal 42 al 31 vi fu un lungo periodo di difficile
convivenza tra Antonio ed Ottaviano. Troppo diversi i due per cultura, per
stile di vita, per senso dello Stato. In questo scenario s’inserì Cleopatra che
fiaccò completamente la personalità e l’energia d’Antonio.
Si arrivò inevitabilmente allo scontro che avvenne ad Azio, in Grecia.
Pur disponendo di una notevole superiorità sia in
campo navale sia in quello terrestre, Antonio non n’approfittò. Evidenziava una
crescente apatia non riuscendo a decidersi fra una battaglia navale ed una
terrestre. Aveva ormai perduto l'antica rapidità di decisione, imparata a
fianco a Cesare.
Col tempo decise di combattere sul mare, subendo
anche in questo la volontà di Cleopatra. I suoi errori furono in ogni modo
molti. Aveva sì 500 navi, ma le aveva costipate entro un golfo dall'angusta
bocca.
Il 2 settembre del 31 le navi d’Antonio si mossero
per uscire dal Golfo e si ebbe lo scontro.
Lo svolgimento della battaglia non è chiaro, tuttavia fino a mezzogiorno
la situazione si mantenne incerta. In quel momento si vide la nave di Cleopatra
abbandonare l'area dello scontro e dirigersi verso sud.
Con lei si allontanarono 60 navi egiziane.
Assurdamente anche Antonio, abbandonò i suoi e si diresse al seguito di
Cleopatra. Fu inevitabile lo scoramento nelle file antoniane. La giornata finì
con la perdita o la resa dell'intera flotta. Di fronte ad un così triste
spettacolo, anche l'esercito antoniano si arrese. Antonio si suicidò ad
Alessandria, seguito, poco dopo da Cleopatra.
Eliminati i congiurati ed Antonio, la pace era
ormai completa. Fu chiuso il tempio di Giano che il rito religioso voleva
rimanesse aperto in tempo di guerra e che, per sole due volte, era stato chiuso
dalla fondazione della città.
Ottaviano aveva 33 anni ed aveva di fronte a se un
compito immane: rimettere in ordine uno Stato ingrandito e sconquassato da
quasi 20 anni di guerra civile.
Uno dei primi provvedimenti fu la revisione del
Senato, necessaria per i troppi rimaneggiamenti che si erano avuti negli anni
precedenti e per l'ormai troppo elevato numero dei suoi membri, giunti quasi al
migliaio.
Invitò molti a dimettersi. Poi, per ridurre
ulteriormente il numero, scelse 30 Senatori d’assoluta probità. A questi dette
il compito di designarne altri 30 e così via fino a raggiungere il numero
finale di 600.
Impose poi un nuovo regolamento finalizzato a
migliorare il funzionamento del Senato. In particolare impose ammende per le
assenze non giustificate, ridusse il numero delle sedute obbligatorie a due il
mese, stabilì di trattare gli affari meno importanti con una giunta di Senatori
estratti a sorte (Consilium Principes)
Nel 29 il Senato conferì solennemente ad Ottaviano
il titolo d’Imperatore, non come appellativo, ma come Prenome, con facoltà di
trasmetterlo agli eredi.
Fino ad allora, Ottaviano aveva mantenuto il
vecchio assetto costituzionale repubblicano, tentando di migliorarne soltanto
il funzionamento.
Egli si rese, comunque, conto della necessità di
una nuova Costituzione.
I confini dello Stato romano si erano enormemente
allargati, superando l’orizzonte della città-stato per diventare un Impero. Non
era più possibile che un tale coacervo di popoli fosse governato da Magistrati
romani che cambiavano ogni anno.
Era necessaria una riforma che garantisse
uniformità, continuità e stabilità. Occorreva trovare altri istituti più
consoni al tempo od allo spazio enorme da governare. Andavano, tuttavia, evitate
soluzioni radicali e nette.
Il primo passo fu la sanzione della fine
dell’emergenza. Questo fece Ottaviano in una memorabile riunione del 13 giugno
del 27 a.C.. Riportiamo le sue parole, pronunciate davanti al Senato
"Depongo l'intero potere e vi rendo completamente le armi, le leggi ed i
popoli soggetti".
Con questa rinuncia la Costituzione repubblicana
ritornava alla sua forma originaria. Ma a questo punto s’inserì la riforma
costituzionale, preparata e conseguita con grande sagacia politica e non con la
forza. Il Senato pregò Augusto di voler conservare il governo di quelle
provincie che non potevano essere considerate del tutto tranquille. Augusto
accettò quest’incarico per 10 anni, acquisendo, in tal modo, un imperium
proconsolare.
Con questo provvedimento, si ebbero due categorie
di provincie:
-
la prima, sotto il controllo del Senato che le faceva
governare come di consueto da ex Consoli o ex Pretori, inviati annualmente;
-
la seconda (provincie di confine e non tranquille),
controllate da Augusto, per mezzo di propri Luogotenenti che rimanevano in
carica per quanto tempo fosse necessario. Si veniva in questo modo a creare una
nuova figura giuridica che non era quella del Magistrato, bensì quella
dell'alto funzionario regolarmente retribuito. Le Legioni stanziate in queste
provincie, sostanzialmente, facevano capo allo stesso Augusto.
Un altro provvedimento con cui Augusto mantenne e rafforzò i suoi poteri sostanziali, mascherandoli con la rinuncia a poteri formali, si verificò nel 23 a.C. quando rinunciò al Consolato, incarico troppo appariscente, facendosi dare la "tribunicia potestas", incarico più defilato ma con grandi poteri, specie per la facoltà di veto nei riguardi di tutte le iniziative del Senato.
Augusto aveva il potere più assoluto pur mantenendo inalterato l'edificio costituzionale nella sua antica costruzione. In sostanza fu creata una forma di diarchia (sovranità divisa fra Augusto e Senato).
La grande Amministrazione e la nascita della burocrazia
Mentre Cesare aveva combattuto ed umiliato la
vecchia classe dirigente, Augusto, nel suo intento restauratore delle antiche
virtù, si appoggiò alla vecchia aristocrazia tentando anche di coinvolgerla nel
governo di provincie.
L'infiacchimento del carattere, prodotto dal
benessere e dagli agi possibili a seguito della ritrovata funzionalità e
prosperità dello Stato, indussero però nell’aristocrazia comportamenti e
sentimenti apatici che non le consentirono di raccogliere gli stimoli forniti
da Augusto. In questo modo l'aristocrazia comincerà a segnare quel declino che
sarà poi decretato definitivamente dalla rivoluzione francese 18 secoli dopo.
Di fronte all'apatia dell'aristocrazia, Augusto, dovrà rivolgersi all'ordine equestre e plebeo per trovare i funzionari ed i burocrati necessari a far funzionare la complessa macchina imperiale. A questi ordini appartenevano il plebeo Agrippa ed il cavaliere estrusco Mecenate. L'ordine instaurato da Augusto favorendo traffici e commerci agevolava proprio quella classe intermedia dell'ordine equestre, attiva, dinamica e produttiva, che formerà poi la base della borghesia.
Questa grande riforma dell’Amministrazione
dell'Impero, con l’impiego di personale a carattere permanente, darà corpo a
quella che poi sarà la burocrazia.
Il riordinamento della Forze Armate
Un altro settore cui Augusto conferì particolare importanza fu il riordinamento delle sue Forze Armate (esercito e marina), adottando un significativo “Nuovo Modello di Difesa”.
Il numero delle Legioni discese da 50 a 28 e poi a
18 (le soppressioni non sono provvedimenti solo di questi anni), ma l'esercito
diventò, per la prima volta nella storia del mondo antico, una grande
istituzione permanente.
Fino ad allora i soldati, coscritti e/o volontari,
erano arruolati volta per volta per fronteggiare una determinata necessità.
Augusto si rese conto che, per la conservazione del territorio imperiale, era
necessaria una permanente presenza di forze armate anche per evitare assalti e
danni, specie alle province periferiche, prima che si riuscisse a costituire ed
a far accorrere un esercito raccolto con i metodi repubblicani.
In questo modo si realizzava anche un secondo
importante risultato di ordine spirituale: assegnando all'esercito finalità
chiare ed onorevoli, si restituiva ad esso un ideale ed una moralità.
Ormai i Comandanti di questo nuovo esercito potevano rivolgere ai subordinati ben più alte parole richiamando il dovere del servizio al Paese piuttosto che le promesse di terre, di denaro e di bottino.
Proprio in virtù di questa nuova dimensione spirituale, si dovette al nuovo esercito permanente, costituito da Augusto, se per altri quattro secoli i barbari non riuscirono mai a valicare in modo irreparabile e definitivo le frontiere dell'Impero.
Il numero degli anni di servizio dei Legionari fu fissato prima in 16 e poi in 20. Con una buona paga e con la prospettiva di donativi finali e di una buona carriera, si riuscì a riempire completamente i reparti con volontari, talché non fu quasi mai necessario ricorrere ad operazioni di leva.
La prima linea di confine era controllata con "castella" posti ad una distanza variabile in relazione al terreno, ma mai superiore ad un giorno di cammino. In essi trovavano sistemazione distaccamenti minori.
In posizione più arretrata e baricentrica erano realizzati "castra" ove di norma erano stanziate una o più Legioni.
Le Legioni, come già detto, erano stanziate nelle
provincie imperiali e poste alle dirette dipendenze dei Governatori in modo da
tenere riunito il potere civile e quello militare.
Augusto regolò ed aumentò notevolmente il reclutamento d’ausiliari disponendone la dislocazione, accanto alle Legioni, ai confini dell'Impero. Al termine del periodo di servizio, essi ricevevano la cittadinanza romana.
Anche la Marina fu riordinata su base permanente
su due flotte con Comandi a Ravenna e Miseno. Il riordinamento era finalizzato
anche a condurre azioni di polizia marittima per la piena tranquillità dei
traffici nel Mediterraneo. Il servizio in Marina durava 28 anni.
Una novità non del tutto positiva, introdotta da Augusto, fu la costituzione di Coorti Pretorie, quelle guardie del corpo che dovevano svolgere una così nefasta parte sotto i suoi successori. In totale, furono costituite nove di queste Coorti di cui tre stanziate a Roma e sei nelle altre residenze imperiali.
Il periodo di servizio dei Pretoriani era di 16
anni a fronte dei 20 dei Legionari. Anche il soldo dei Pretoriani era superiore
a quello dei Legionari (più del doppio).
Le spese per il mantenimento degli eserciti delle varie provincie erano tratte dai redditi delle singole provincie. A ciò erano addetti i "Procuratores Augusti".
La propaganda ed il controllo della cultura
Cesare ed Augusto sono accomunati da una stessa intuizione: il valore della propaganda. Cesare, in sintonia con la propria personalità o per mancanza di tempo, fece tutto in proprio. I suoi Commentari scritti per le campagne di Gallia e per la guerra civile, diramati e diffusi man mano che venivano scritti, rispondono pienamente a questa logica.
Augusto perfezionò il sistema facendo un ulteriore passo avanti. Non la propaganda personale, diretta ed immediata come quella di Cesare, ma una propaganda più sottile, più pervasiva, più subdola e quindi maggiormente efficace e persistente, realizzata soprattutto attraverso il controllo della cultura (o, come si direbbe oggi, dell’intellighenzia).
Per realizzare ciò Augusto si avvalse di un collaboratore d’eccezionale valore e lealtà, Mecenate. Questi fu, infatti, il suo grande Ministro della propaganda e della cultura ed il grande finanziatore di tutte le manifestazioni culturali, specie in campo letterario.
Grazie a ciò vi fu una fioritura di scrittori e
poeti immortali (Virgilio, Orazio, Ovidio, Lucrezio, Properzio, Catullo,
Tibullo, Tito Livio). Fu l'età d'oro della letteratura latina. Sorsero molte
case editrici. La stampa non era ancora stata inventata, ma le principali opere
uscivano in edizioni di cinque o diecimila copie, tutte scritte a mano dagli
schiavi, ed andavano esaurite in pochi mesi. La società romana, da guerriera ed
incolta, si fece sempre più salottiera e raffinata.
Nella riorganizzazione dell'Impero, Augusto tenne
molto a conservare la posizione di privilegio dell'Italia, ormai tutta
parificata a Roma nei diritti e ben distinta dalle provincie. Anche per questo fu molto parsimonioso nel
concedere la cittadinanza romana ai sudditi delle provincie, differenziandosi
da Cesare che, invece, aveva il disegno di un livellamento generale in tutta
l'estensione dello Stato romano.
Inoltre, ad Augusto parve opportuno e giusto
imporre anche ai cittadini romani la partecipazione alle spese
dell'Impero. Si può immaginare quanta
resistenza suscitò la reintroduzione di tasse dopo che per secoli i cittadini
romani n’erano stati esentati.
Fu poi avviato un poderoso programma di lavori
pubblici a Roma sia per accrescerne il decoro, sia per dare lavoro ad una massa
di disoccupati.
Roma (come in questo periodo per il Giubileo) diventò un grande cantiere. Furono costruiti il grande Mausoleo dell'Ara Pacis, il teatro Marcello (dedicato al nipote deceduto), le basiliche Giulia ed Emilia nel Foro romano ed avviata la realizzazione del Foro d’Augusto. Furono coinvolti anche i privati ed in questo quadro rientra la costruzione del Pantheon voluta da Agrippa.
Augusto vedeva un grosso pericolo, per la preservazione della romanità, nella diminuzione del numero dei cittadini romani dovuta alla scarsa natalità.
I romani avevano abbandonato l'antica severità dei costumi dandosi, frequentemente, ad una vita di sregolatezze. Specie nelle classi abbienti, si preferiva un celibato godereccio alle preoccupazioni ed alla responsabilità di una famiglia. Si riducevano, quindi, i matrimoni ed il numero dei figli.
Contro questo dilagante fenomeno antisociale ed antidemografico, Augusto fece approvare due specifiche leggi ("de adulteris et de pudicitia" e "de maritandis ordinibus"). Con la prima, l'adulterio, da problema privato, diventava reato pubblico. La seconda legge era ancora più restrittiva della libertà del cittadino romano. Sostanzialmente, i cittadini delle classi abbienti furono obbligati a contrarre matrimonio con persone “convenienti” per età e grado sociale. Inoltre, le famiglie furono incoraggiate ad avere una prole numerosa. Il celibe, infatti, non poteva ereditare o ricevere legati, era escluso dagli spettacoli pubblici ed era penalizzato nell'assegnazione d’incarichi pubblici. Benefici di carriera erano concessi agli sposati ed erano commisurati al numero dei figli.
Questi provvedimenti contribuirono a rallentare quel processo disgregatore dei costumi cui si stava avviando una società romana giunta ormai a contatto con il lusso e con i piaceri sfrenati, caratteristici delle società orientali.
L’espansione territoriale
Durante il suo Impero, Augusto acquisì la Mesia,
la Pannonia (attuale Ungheria), il Norico, la Rezia, tutto l'arco alpino e
l'area fra il Reno e l'Elba.
Queste conquiste, tuttavia, non furono il
risultato di una strategia espansionistica, ma dettate dalla necessità di
meglio garantire le possibilità di difesa dell'Impero. Augusto era convinto che
l'Impero romano si sarebbe mantenuto forte fino a quando avesse incentrato la
sua potenza sul mondo mediterraneo. Uno sbilanciamento verso il mondo germanico
od orientale avrebbe contenuto in sé i germi della dissoluzione.
Stabilizzò la frontiera orientale definendo con grande abilità politica le relazioni con il regno dei Parti, con i quali si erano scontrati, con esito negativo, prima Crasso e poi Antonio.
Diversa era, invece, la sua valutazione circa la frontiera settentrionale. La sicurezza dell'Italia del nord (allora chiamata Gallia Cisalpina), ormai diventata parte integrante ed irrinunciabile dello Stato romano, non poteva essere conseguita senza il possesso non solo dell'intera catena alpina, ma di tutta l'area successiva fino a raggiungere il corso superiore del Danubio. Questo fiume doveva costituire il confine dell'Impero. A tal fine occorreva inglobare le attuali regioni del Tirolo superiore, della Baviera e della regione orientale della Svizzera.
L'operazione fu affidata ai due giovani figliastri d’Augusto, Tiberio e Druso, di 26 e 22 anni. Fu concepita e realizzata un'audace ed ampia manovra avvolgente. Druso operò frontalmente da sud verso nord lungo la valle dell'Adige, mentre Tiberio mosse dalla Gallia per minacciare il fianco e il tergo dell’avversario. La manovra, condotta negli anni 16 e 15 a.C., assicurò il saldo possesso delle Alpi orientali. Successivamente fu acquisita la Pannonia.
Per completare la linea di confine settentrionale era necessario allontanare ulteriormente la minaccia dei Germani, spostando in avanti la linea di confine del Reno fino all'Elba. La linea di confine Elba-Danubio era, inoltre, più corta di quella Reno-Danubio.
Fu concepita anche in questo caso una manovra avvolgente e, si potrebbe dire oggi, interforze, prevedendo:
- una penetrazione frontale, via terrestre, dal Reno verso l'Elba;
- un aggiramento da nord, per via marittima, lungo il Mar del Nord.
L'intera operazione fu affidata a Druso e fu compiuta in tre anni dal 12 al 10 a.c..
La conquista dell'Elba segnò anche la fine del giovane Druso. Al rientro da Roma ove era stato onorato con una "ovatio", si spezzò il femore in una caduta da cavallo e morì anche a causa delle inadeguate cure ricevute.
Le frontiere settentrionali continuavano,
comunque, ad essere minacciate e, nella loro protezione, rifulgeranno le alte
qualità militari e diplomatiche di Tiberio.
Nonostante questi grandi servigi resi al Paese ed
all'Imperatore, Tiberio si rese conto di non riscuoterne la simpatia. Era,
inoltre, amareggiato per il frivolo e deplorevole comportamento della moglie
Giulia, figlia d’Augusto.
Superando anche la contrarietà di Augusto, Tiberio
si ritirò nell'isola di Rodi ove rimarrà in esilio volontario per sette
anni. Era il 6 a.C. ed Ottaviano
cominciava a vedere il vuoto intorno a sé. Due anni prima, infatti, era morto
Mecenate. La solitudine e l’incipiente vecchiaia rendevano sempre più impellente
la scelta di un successore, anche perché egli non aveva figli maschi.
Una maledizione sembrava accanirsi verso tutti i possibili candidati. In circostanze più o meno chiare erano, infatti, morti il nipote Marcello, figlio della sorella Ottavia, il caro compagno Marco Vipsanio Agrippa, Druso il fratello minore di Tiberio.
Durante il periodo d’esilio di Tiberio, vennero a mancare anche i nipoti Lucio e Caio. I guai familiari d’Augusto non erano ancora terminati.
Dopo l'abbandono da parte del marito Tiberio, la
condotta della figlia Giulia era diventata, se possibile, ancora più
dissennata. Ella era diventata anche un'arma in mano ad avversari politici
specie dopo la vigorosa campagna moralizzatrice avviata a seguito dell'adozione
delle leggi di cui si è parlato.
Augusto ne fu informato e finalmente aprì gli
occhi. Provvide ad esiliare la figlia nell'isola laziale di Ventotene.
La scomparsa dei figli adottivi e la triste
rivelazione dei trascorsi di Giulia indussero Augusto a riconsiderare la figura
di Tiberio, rimasto ormai unico erede al trono ed unico sostegno per
l'ulteriore cammino terreno. Tiberio tornò e fu adottato come figlio ed
associato ad Augusto nella conduzione dell'Impero.
Tiberio fu rispettoso del suo ruolo, compiendo
qualunque azione nel nome d’Augusto. Aveva un’esperienza politica e militare di
primo ordine, specie per quanto riguarda la conoscenza delle situazioni
germaniche e danubiane, Riscuoteva ampia e meritata fiducia tra i soldati.
Nell’anno 10 a.C. giunse notizia che tre Legioni
romane erano state distrutte in una battaglia nella foresta di Teutoburgo. Le
comandava il Legato imperiale Varo, tratto in inganno e tradito da un Capo
germanico, Arminio. La notizia dell'eccidio produsse a Roma un’angosciosa
impressione.
Tiberio accorse subito nell'area, ma, in
ubbidienza alle direttive imperiali, si dette solo a rafforzare le linee
difensive ed a risollevare il morale delle truppe.
Nell'estate del 14 d.C. per sfuggire alla calura
romana, Augusto si recò in quelle terre ed in quelle isole campane che aveva
sempre preferito ad ogni altro Paese per i suoi brevi riposi. Si recò a
Benevento per salutare Tiberio in partenza per l'Illiria. Al ritorno si aggravò
e dovette fermarsi a Nola. Qui fu raggiunto da Tiberio. Riuscirono a discutere
lungamente per un intero giorno, da soli, per quello che è stato chiamato
"il testamento orale". Non lo avevano mai fatto nei lunghi anni
precedenti. Il giorno dopo, il 19 agosto del 14 morì, con una morte tranquilla,
nelle braccia della moglie. Aveva 76 anni.
Aveva completato l'opera del prozio, dando solide
fondamenta ad uno Stato che con Tiberio si chiamerà esplicitamente Impero e si
protrarrà per quattro secoli.
Coincidenza forse non singolare volle che, durante
l'Impero d’Augusto, nascesse Gesù Cristo. Nacque a Betlemme in una grotta ove
si erano riparati per la notte Giuseppe e Maria, in viaggio per un censimento
ordinato proprio da Augusto.
Coincidenza, si diceva. Nel momento in cui un Imperatore avvia a
definitivo consolidamento un Impero materiale che sopravviverà per quattro
secoli, nasce Colui che avvia a costituzione un Impero morale e spirituale che
dura ancora oggi e che, sul piano temporale prima e spirituale poi, raccoglierà
l'eredità di Roma continuando a farla considerare, sia pure con diverse
finalità e sotto un altro profilo, uno dei fari più splendidi della civiltà
umana.
Conclusione
Augusto può essere considerato "l'Imperatore
della pace". Il suo fu un periodo aureo per la storia di Roma.
Cesare aveva abbozzato. Solo un uomo di genio
avrebbe potuto completare l'opera. E tale fu indubbiamente Augusto che certo
non possiede lo splendore istantaneo del Condottiero, ma è sicuramente dotato
dell'elevato spessore del grande uomo di governo. Ed a ben vedere, la prudente assennatezza, l'accorta vigilanza e
l'agile flessibilità d’Ottaviano, sulla lunga distanza del tempo, furono più
utili della baldanzosa bravura e dell'alta genialità di Cesare.
Fu Imperatore per 44 anni e, prendendo in considerazione anche il periodo del consolato, fu Capo di Roma per circa 57 anni. Di tutti gli altri grandi, solo Ramses II e Francesco Giuseppe II d’Austria lo hanno superato per longevità d’esercizio del supremo potere.
Fu un funzionario d’amplissime vedute che seppe creare un apparato politico di rara precisione, poggiante sopra solide fondamenta economiche.
Non era un trascinatore di folle come Cesare, ma gli era certo superiore quanto ad intelligenza politica. Iniziò la sua carriera in mezzo al caos ed all'anarchia e dopo 57 anni, morendo, lasciò un Impero consolidato sotto ogni profilo.
Con Augusto indubbiamente Roma raggiunge il
culmine della sua storia politica, sociale e culturale. La vecchia costituzione repubblicana appare
formalmente immutata mentre si è compiuta la più radicale e profonda delle
trasformazioni. Comincia la nuova ed ultima fase della storia di Roma, quella
dell’Impero. Ed il seguito di questa storia non sarà mai più così bello com’è
stato, grazie ad Augusto, il suo inizio.